Sul mio smartphone uso una scheda sd divisa in due partizioni: una più grande formattata in FAT32 sulla quale tengo i dati (fotografie, filmati, immagini, musica, testi ecc.) ed una più piccola formattata in ext2 sulla quale ho spostato diverse applicazioni tramite l’app link2sd. Di tanto in tanto ho bisogno di cambiare scheda, il più delle volte per aumentare le dimensioni dell’una, dell’altra o di entrambe le partizioni. Ogni volta però mi dimentico di come ho fatto la volta prima e perdo molto tempo a cercare il procedimento giusto. Quindi ora lo pubblico qui. Magari può essere utile a qualcun altro, ma chi vuole provarci lo fa a proprio rischio e pericolo.

Il trucco sta nell’avere un pc con un s.o. linux (io uso xubuntu 14.1), il software g-parted, e la possibilità di collegare contemporaneamente al pc due schede sd.

Una volta inserita la nuova sd tramite lettore di schede, si creano sulla stessa le partizioni desiderate con g-parted. Quindi, sempre tramite g-parted, bisogna SMONTARE sia (sulla sd originale) le partizioni che si intendono copiare che (sulla sd di destinazione) le partizioni sulle quali si intendono incollare i dati. Successivamente basta copiare una partizione sulla scheda originale e incollarla su un’altra partizione della nuova scheda: il processo di clonazione sovrascriverà completamente i dati sulla scheda di destinazione creando una partizione in tutto e per tutto identica rispetto a quella di partenza, salvo per il fatto che se la partizione di destinazione è più grande di quella di partenza lo spazio libero risulterà maggiore.

Finito il processo su tutte le partizioni, basta inserire nello smartphone la nuova scheda sd, et voilà.

un lungo post dove si parla del Gioco del Rispetto, della teoria del gender, del Piccolo, di Dipiazza e di Dave Winer


 
Partiamo dal fatto che la “teoria del gender” non esiste. Non più delle scie chimiche, dei rettiliani, dei vaccini che causano l’autismo, dei Protocolli dei Savi di Sion e di Babbo Natale. Non esiste un movimento capillare e sotterraneo che lavora per inculcare l’idea che “ciascuno può scegliersi liberamente il sesso”, che “la differenza di sesso non esiste” o che “non serve che i bambini abbiano una mamma e un papà”.

Esistono invece degli studi e delle riflessioni, soprattutto a partire dagli anni ’50 del secolo scorso, su quanto di ciò che noi consideriamo femminile e maschile sia legato alla biologia e quanto invece alla cultura. Prendersi cura della casa o occuparsi della manutenzione dell’automobile sono cose che hanno a che fare con la nostra natura di uomini e di donne o con il ruolo che la società ha assegnato a ciascuno di noi in quanto uomo o donna? Gli studi che girano intorno a queste domande sono a volte definiti come “studi di genere”. Ecco, gli studi di genere hanno solo una vaga assonanza con questa roba qui, sulla quale in alcuni ambienti religiosi hanno appiccicato l’etichetta di “teoria del gender” per creare uno straw man contro cui condurre una battaglia che con gli studi di genere non c’entra nulla: la battaglia contro la genitorialità delle coppie omosessuali.

Quindi la teoria del gender non esiste, ok?

Ok. Bene, il Gioco del Rispetto non riguarda né la “teoria del gender” (che non esiste) né, almeno direttamente, gli studi di genere. Il Gioco del Rispetto riguarda il fatto che è giusto trattare le persone superando i pregiudizi e gli stereotipi, in particolare gli stereotipi di genere. Se a un bambino piace giocare alla casa e a una bambina piace vestirsi da (stavo per scrivere “Zorro”) Spiderman non vanno presi in giro. Se un ragazzino ama guardare Titanic e piange ogni volta che vede Leonardo di Caprio che si inabissa per salvare Kate Winslet non va bullizzato, come non va bullizzata una ragazzina che ama indossare solo jeans larghi e camice a quadroni stile boscaiolo. Dice “ma la parità fra uomo e donna l’abbiamo già raggiunta: a cosa ci serve un Gioco del Rispetto?”. Lo spiega la parola: non è questione di parità, ma di rispetto. Gli uomini e le donne oggi possono aspirare a ruoli insoliti per il loro genere, ma che fatica! E quante amarezze! Senza contare che comunque ancora oggi, nel nostro moderno e occidentale mondo del lavoro, a parità di mansioni le donne sono mediamente considerate meno degli uomini. Perché? Perché c’è un bel pregiudizio di genere. Molti si fidano “istintivamente” di più del parere della donna se si tratta di cose famigliari e casalinghe e del parere dell’uomo se si tratta di cose lavorative. E’ vero: da noi le donne non sono costrette a stare a casa ad aspettare che gli uomini tornino dal lavoro, ma la libertà e il rispetto sono cose su cui non va abbassata la guardia e l’asticella va sempre alzata. Si fa presto a tornare indietro. Senza contare che gli adulti si sono, mediamente, costruiti una corazza che li aiuta a sopportare i pregiudizi di genere da cui sono colpiti, mentre i bambini no.

Detto questo, la cosa che più mi colpisce di tutta questa storia del Gioco del Rispetto è un’altra, e cioè il modo in cui è stata trattata la notizia qui a Trieste.

Tutto è nato poco più di un anno fa.

Il 9 marzo 2015 il Piccolo titolava in prima pagina “Bufera sui giochi ‘osè’ all’asilo – A Trieste genitori in rivolta: un progetto educativo, in nome del rispetto tra i generi, prevede che i bambini ‘si esplorino’ e scambino i vestiti tra maschi e femmine” ilpiccolo_trieste6.jpg

Ma davvero???? Ma è possibile???? Mi sono visto questa scena: asilo triestino, interno, una maestra dall’occhio lubrico raccoglie attorno a sé i pargoli e dice “allora bambini, adesso via i vestiti, tutti nudi, toccatevi il pisellino e la passerina, e poi tutti i maschietti si mettono i vestiti delle femminucce e tutte le femminucce i vestiti dei maschietti”; dissolvenza; stacco; esterno, piazza Unità, sotto il Municipio una folla di genitori con torce e forconi chiede la testa di Cosolini.

Può essere andata così?

Incuriosito dal fatto che il Comune promuovesse la masturbazione infantile e il travestitismo negli asili ho indagato un po’ sulla rete.

Ho scoperto che nel dicembre 2014 il Comune di Trieste aveva annunciato l’avvio del progetto “Il Gioco del Rispetto”: un ciclo di sessioni formative per gli insegnanti della scuola primaria e dei ricreatori per promuovere il rispetto reciproco e il superamento degli stereotipi di genere fra uomo e donna, leggere attentamente le avvertenze e le modalità d’uso. Dopo questo annuncio, per alcuni mesi non era successo quasi niente. Poi, il 2 marzo 2015 su Vita Nuova online era comparso un articolo a firma Amedeo Rossetti De Scander dal titolo “Il Comune di Trieste spieghi questa pubblica vergogna”, in cui il Gioco del Rispetto e il Comune erano attaccati molto duramente per i contenuti del progetto e per le modalità di introduzione dello stesso. “I figli non si toccano, né fisicamente né emotivamente: questa che viene proposta è violenza” si dichiarava dalle pagine online di Vita Nuova. Incidentalmente, quel Vita Nuova dalla cui direzione era stata rimossa alcuni anni prima per disaccordi col Vescovo Crepaldi Fabiana Martini, vice-sindaco del Comune di Trieste all’epoca dell’avvio del progetto del “Gioco del Rispetto”. Coincidenze? Chiediamolo a Giacobbo e proseguiamo. Intanto Il Piccolo titolava con allarmismo:

Il gioco proposto all’asilo finisce nella bufera – Prevede che i bambini e le bambine ‘nominino i genitali’ e si scambino i vestiti Punta a favorire il rispetto tra i generi. Ma un gruppo di genitori protesta” (Il Piccolo online 9 marzo 2015)

Il Comune ‘assediato’ difende il gioco all’asilo” (Il Piccolo online 11 marzo 2015)

La prima scuola materna interpellata rifiuta 9 giochi su 11 – A porte chiuse l’assemblea con i genitori in svolgimento all’asilo ‘Cuccioli’: si è parlato del controverso ‘Gioco del rispetto’ proposto ai bambini. Presenti anche, all’esterno, agenti della Digos e la polizia municipale” (Il Piccolo online 11 marzo 2015)

Gioco del rispetto, l’ira del centrodestra” (Il Piccolo online 10 aprile 2015)

‘Gioco del rispetto’, la protesta si allarga – Adesioni da Gorizia e Pordenone al nuovo Comitato di genitori contrari al progetto. ‘Monitoreremo cosa accade in classe’” (Il Piccolo online 28 aprile 2015)

A Trieste c’è il Gioco del rispetto: via il figlio dall’asilo” (Il Piccolo online 15 maggio 2015). Con tanto di foto. Aspetta, ma chi è che porta via il figlio dall’asilo? Ah: Amedeo Rossetti de Scander.

Io però nella mia ricerca online ho trovato una storia ben diversa. Su bora.la dell’11 marzo 2015 c’è per esempio una lettera in cui un genitore dell’asilo dove era “scoppiato lo scandalo” del Gioco del Rispetto raccontava la sua versione dei fatti: durante un tranquillo incontro a scuola in cui veniva presentato il progetto un altro genitore “con tono arrogante, inquisitorio e totalmente fuori luogo, ha attaccato in maniera quasi offensiva le maestre e la scuola, dicendo che questi giochi a scopo sessuale e di trasformazione non dovevano e non potevano essere praticati con bambini di questa età.” e che “In seguito, il genitore ha scritto un articolo su ‘Vita Nuova’”. Che si tratti di Amedeo Rossetti De Scander?

Ci sono poi su Internet video, interventi e post su Facebook di chi c’era e riferisce di come il Gioco del Rispetto abbia avuto nei varii incontri un’accoglienza molto buona e sia stato ostacolato solo da pochissime ma attivissime “sentinelle in piedi”.

Il resto è storia più recente. Passa un anno, con le elezioni amministrative cambia la guida al Comune e il nuovo sindaco Dipiazza abolisce il progetto del Gioco del Rispetto. Incidentalmente Dipiazza è molto molto amico di don Ettore Malnati, quel don Ettore Malnati che il 19 giugno 2016 accusava su Twitter la giunta uscente di aver cercato di “alterare l’etica comune” con il gioco del rispetto, oltre che naturalmente che con Dat (le dichiarazioni anticipate di trattamento) e il matrimonio gay. Coincidenze? Giacobbo! Intanto su Vita Nuova online del 19.7.2016 viene intervistato per esprimere la sua soddisfazione Amedeo Rossetti De Scander (è tutto vero!).

Quindi in definitiva a quanto pare tutta la polemica sul gioco del rispetto è stata generata e portata avanti da pochissimi sulla base di fatti distorti e inveritieri. Ma a leggere Il Piccolo sembrava in atto una rivolta contro un progetto educativo che si lasciava intendere essere quanto meno ambiguo: da un lato i genitori infuriati e dall’altro la giunta Cosolini arroccata a difesa della lobby gender.

Insomma il Piccolo non ha mai dato un’informazione corretta. Attenzione: a cercare bene fra le righe si trovano quasi tutti gli elementi, anche le opinioni delle creatrici del progetto e della giunta Cosolini. Anche che “a sollevare la questione del ‘Gioco del Rispetto’, per primo, è stato il padre di un piccolo alunno. Amedeo” (Il Piccolo online 10 marzo 2015). Ma il problema è COME sono stati forniti i dati. Non è mai stato scritto chiaramente che:

1) la “teoria del gender” non esiste ed è una montatura

2) il Gioco del Rispetto non ha niente a che fare con il “gender”, con la masturbazione, con lo spogliarsi, con il toccarsi i genitali, con la sessualità

3) i contrari al Gioco del Rispetto erano una sparuta minoranza fortemente connotata ed estremamente attiva mentre i favorevoli erano la larghissima maggioranza fisiologicamente non organizzata e silente.

Un giornale non deve buttarmi là tutte le informazioni, anche le più strampalate (anzi, urlando con più forza quelle più strampalate e allarmistiche) e lasciare che sia io ad andare a spulciarmi le fonti. E’ il giornale che deve mediare. Ciò che invece ha fatto Il Piccolo è stato montare un caso basato sul nulla. Non ha fatto INFORMAZIONE ma ha creato, come ha scritto recentemente Dave Winer, EMOZIONE. Come quando si presentano le opinioni di un evoluzionista e di un anti-evoluzionista, o di un sciachimista e di una persona normale, come se avessero pari dignità, magari nascondendosi dietro il paravento della par condicio e della neutralità dell’informazione. Se li metti di fronte e crei confusione generi solo emozione e paura. Massoneria scientifica! Complotto! E questo forse fa vendere (un poco) di più. Ma non aiuta a capire.

Il Piccolo in questa opera di disinformazione è stato rapidamente affiancato da ottima compagnia: Libero, il Giornale, Repubblica. Matteo Salvini. Matteo Salvini! Immagino che ognuno abbia i compagni di strada che si merita.

Eppure non era difficile. Il Fatto Quotidiano per esempio ha dato la notizia vera: “Una polemica fondata su una cortina di disinformazione” (Il Fatto Quotidiano online 12 marzo 2015). Anche il Guardian che ha pubblicato un articolo su questo strano fenomeno triestino dove si riesce ad accapigliarsi sul nulla (the Guardian online, 10 marzo 2015).

Una lezione interessante.

Bonus: del “caso Trieste” si è occupato addirittura nel marzo 2015 il programma TV “Virus”, che è andato a intervistare…. Amedeo Rossetti de Scander.

Cara Coop

Chi ti scrive è un socio Coop.

Sai, nella mia città ci sono tanti supermercati, e la Coop non è il più vicino. Ci possono essere vari motivi che spingono un cliente a scegliere un supermercato piuttosto che un altro. A me per esempio piace poter scegliere a fine anno sul catalogo online come spendere i miei punti raccolti con la tessera socio coop. Tipo sei tazzine per migliaia di euro di spesa. Lo so: è infantile gioire del premietto, bravo bambino ti regalo un lecca lecca. Ma i meccanismi di fedeltà del cliente si basano anche su questo, non è vero? Inoltre mi piace girare per gli scaffali della Coop con l’aria tracotante di “io so’ socio, questa roba è anche roba mia”. E mi piacciono anche le promozioni riservate ai soci, e presentarmi alla cassa con il panettone scontato e fare al cliente dietro di me la faccia alla Mr. Bean da “povero villico, io me lo posso permettere perché so’ socio coop!”.

Insomma, dicevo, a me piace andare alla Coop per usare la mia tessera.

Non ti sarà sfuggito che qualche anno fa hanno iniziato a diffondersi delle app che permettono di sostituire le tessere fedeltà: sullo schermo del cellulare compare il codice a barre da scansionare alla cassa e tu ti eviti di portarti dietro una carrettata di tessere. Bello.

Senza nomeLa Coop (trepuntozero) però queste app non le accetta. Perché la Coop ha la SUA app mycoop. L’app mycoop funziona così: per usarla devi registrarti con dati anagrafici, numero di tessera socio e password (il collegamento al sito per registrarsi peraltro è sbagliato, ma pazienza, con solo dieci minuti di ricerca fra i QUATTRO diversi siti coop, si riesce a trovare quello giusto). Poi, una volta registrato, l’app della Coop mostra il codice a barre della tessera solo se c’è il collegamento internet, perché deve verificare che sei proprio tu con il tuo cellulare e la tua password, non un altro. Peccato che dentro i supermercati Coop non c’è praticamente MAI campo né wi-fi, e quindi l’app non funziona. Ma andando ad appiattirsi come un geco contro una parete verso l’esterno, una tacca di campo si riesce ad avere e l’app può funzionare. Purtroppo ogni 90 giorni la password scade senza preavviso, e quindi dopo aver fatto la spesa settimanale ed aver scoperto che l’app non funziona devi uscire dalla fila alla cassa, scovare un angolo sotto il freezer dei surgelati di pesce dove c’è un minimo di campo, rifare tutta la trafila per cambiare la password e rimetterti in coda. Ovviamente la password non la cambi dall’app, ma dal sito internet. Che non è disegnato per essere visualizzato sui cellulari e quindi le finestre inserimento si vedono male.

Ma mi sto perdendo in digressioni. Io volevo raccontarti, cara Coop, di un episodio specifico.

Qualche giorno fa mi trovavo in vacanza al mare. Vengo mandato dagli amici a comprare una bottiglia di Rum per fare il mojito e vado alla Coop locale, tutto tronfio con la mia app mycoop. Chiedo al personale dove si trova il Rum e mi dicono che è in una vetrinetta sotto chiave vicino alla cassa. Vado a vedere e siccome ci sono tre marche diverse di Rum e io di liquori non ne capisco niente, faccio per mandare una foto su Whatsapp ai miei amici per farmi dire quale marca devo comprare, ma mi salta addosso la cassiera dicendomi che è VIETATISSIMO fare fotografie alla merce. In un supermercato? Immagino che il rischio che qualcuno faccia la foto alla bottiglia e vada fuori a ordinarsi il Rum su Amazon sia grosso. Pazienza, niente Rum. Approfitto per fare un po’ di spesa.

Quando mi metto in fila alla cassa mi accorgo che la password dell’app mycoop è scaduta. Ovviamente. Dopo un quarto d’ora di smanettamenti fra captcha e controcaptcha, infilato a fianco dell’espositore delle cioccolate, riesco a riattivare l’app e mi presento alla cassa.

Mi dispiace, ma accettiamo solo le tessere e non le applicazioni

No, guardi gentile cassiera, forse Lei non si è avveduta che questa è la VOSTRA applicazione, quella ufficiale, quella con la password e il collegamento Internet per la verifica dell’identità, quella che ogni novanta giorni devi cambiare la password. Quindi ovviamente voi l’accettate”.

Non l’accettiamo. L’accettazione dell’app è facoltativa e noi abbiamo l’ordine tassativo di accettare solo le tessere

Ora, cara Coop (trepuntozero): ci sono banche che permettono di ritirare al bancomat migliaia di euro solo con il cellulare (senza usare la tessera), e tu mi sfrangi i maroni in questo modo per usare la TUA app con cui posso raccogliere una manciata di miseri punti su una spesa da quaranta euro? Mi fai un’app talmente demenziale che manca solo che per il riconoscimento richieda il collegamento alla NASA, la lettura della retina e l’analisi settimanale del DNA, e poi mi dici che però è tutto uno scherzo perché l’accettazione dell’app alle casse è facoltativa? Di cosa hai paura? Che un’organizzazione criminale cloni l’app e a forza di punti spesa facciano la scalata al dominio del Mondo?

Va bene. Come vuoi.

Io nel frattempo, con le mie gratificazioni infantili, tipo raccogliere i punti con l’app per cellulare, vado a fare la spesa da un’altra parte. Di supermercati ce ne sono tanti.

Nel frattempo tu puoi pensare a degli usi creativi per il tre, il punto e anche lo zero.

P.S. Il Rum l’ho comprato al Despar. Ho whatsappato tranquillamente la foto ai miei amici. E la bottiglia costava anche di meno.

Mercatino francese

2 dicembre 2014

Caro me stesso del novembre 2015
È possibile che, come quest’anno, l’anno scorso e l’anno prima, intorno alla chiesa di S. Antonio Taunaturgo siano spuntati i baracchini del mercatino francese, ed è probabile ti sia venuta l’acquolina in bocca passando davanti a quello con quei gran padelloni fumanti pieni di patate, carne, sughi, spezie. Siccome ti conosco, scommetto che ti verrà una gran voglia di pranzare prendendo una porzione di quegli invitanti intingoli.
Allora, caro me stesso del novembre 2015, ti ricordo che un anno fa:
– quando hai chiesto alla ragazza (italianissima) dietro al banco quali padelloni non avevano nessuna forma di carne di maiale, neppure pancetta o prosciutto ecc. lei ti ha indicato quello dello spezzatino di manzo e patate e tu hai chiesto “ma niente niente, neanche pancetta” lei ti ha detto “no, solo manzo”, ma poi hai visto che appeso sopra c’era un cartello con la scritta “Bourguignonne – ingredienti: manzo, pancetta ecc.” e lo hai fatto notare alla ragazza e lei ti ha detto “oh, beh, allora vuol dire che dentro c’è carne di maiale”
– per avere una vaschetta di plastica con una porzione di pollo alla senape, una vaschetta di plastica con una porzione di paella con frutti di mare e due coche, il tutto da mangiare in piedi, hai pagato ventidue euro
– mentre mangiavi il tuo pollo alla senape hai visto che la preparazione artigianale della Bourguignonne consisteva in questo: prendere dei vaschettoni sigillati contenenti lo spezzatino con patate; aprirli; versare il contenuto nel padellone; mettere il padellone sul fuoco a riscaldare. Praticamente “quattro salti in padellone”.
– il pollo alla senape era scipito e non sapeva di senape; le patate con le spezie sapevano di patata lessa e basta. Anche la paella non sapeva di molto, principalmente di riso e piselli di scatola.
– quando hai presentato lo scontrino per la paella ai frutti di mare la ragazza ha detto “ha, una paella ai frutti di mare” ed è andata a riempire la vaschetta da un padellone dall’altra parte dello stand, ma a metà del pranzo ti è diventato evidente che nella paella di frutti di mare non ce n’era neanche uno, e allora hai controllato i padelloni e ti sei accorto che ti avevano dato la paella vegetariana che costava quasi la metà di quella con i frutti di mare e quando l’hai fatto notare alla ragazza lei ha detto “però questa l’avete già mangiata e quindi non ve la posso cambiare”. Almeno quando hai chiesto che ti rimborsasse la differenza lo ha fatto.
Ecco, caro me stesso del novembre 2015, siccome sarà passato un anno e non ti ricorderai più, se ti viene voglia davanti ai padelloni fumanti del mercatino francese rileggiti questo post, passa oltre e vai a pranzo da Gildo o da Giovanni.

Webdesign

28 agosto 2014

Questo è in questo momento il portale informativo dell’ENEA (cioè, dico, l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile, un ente pubblico che gestisce centinaia di milioni di euro all’anno) sulle “detrazioni fiscali 65%”.

enea

(Clicca l’immagine per ingrandirla)

I contenuti ci sono, e mi pare anche che siano aggiornati. Ma la grafica! Non credo serva dire altro (solo che l’alone intorno alla scritta “Ministero dello Sviluppo Economico” non è colpa del mio screenshot ma del grezzo copiaincolla usato per confezionare la pagina). Se per questa roba hanno speso complessivamente più di 10 euro dovrebbero andare direttamente a costituirsi alla Corte dei Conti, così, da soli. E spero che quei dieci euro li abbiano usati come rimborso simbolico a Roberto Grassilli (autore dell’immagine – l’angelo mascotte del compianto portale Clarence – che hanno preso per il link ai contatti) con una lettera in cui spiegano che per risparmiare al massimo e usare tutti i soldi per le detrazioni hanno deciso di far fare il portale a un impiegato che negli anni ’90 aveva avuto una BBS.

Sottotitolo: ma la soddisfazione del cliente conta ancora qualcosa, o siamo tutti sudditi?

Faccio un acquisto su Internet, un regalo per il compleanno di mia figlia. Il venditore mi spedisce l’oggetto tramite SDA. Due giorni dopo, seguendo il tracking online, vedo il messaggio: “la spedizione è in giacenza – contatta assistenza”. Contratto l’assistenza. La gentile operatrice telefonica mi spiega che il pacco risultava manomesso e quindi il postino non me l’ha recapitato. “Non si preoccupi” aggiunge comunque “glielo rimetto in consegna per domani, e quando Le arriva Lei lo accetti con riserva”. “Ok” dico io “grazie”.

Il giorno dopo non mi arriva nulla e il pacco risulta nuovamente in giacenza con la richiesta di contattare l’assistenza. Contratto l’assistenza, faccio il riassunto delle puntate precedenti e chiedo spiegazioni. “Non si preoccupi” mi dice un altro operatore telefonico, “è normale. Il fatto è che, quando un pacco viene svincolato, ci vogliono ventiquattro ore circa prima che sia rimesso in consegna. Vedrà che domani Le arriva”. “ok” dico io, “grazie”.

Il giorno dopo mi chiama il venditore. “Come mai SDA non riesce a trovarLa all’indirizzo che aveva indicato al momento dell’acquisto?” “Veramente io sono fermo qua a quell’indirizzo, ma a me SDA aveva detto di non essere neanche passata perché il pacco risultava manomesso. Sono ancora  attesa che me lo portino per accettarlo con riserva”. “Ah” mi dice il venditore “strano, a me avevano detto un’altra cosa. Comunque mi faccia sapere”. “ok”, dico io, “grazie”.

Verso sera ancora nulla, e il pacco è per la terza volta in giacenza, con la richiesta di contattare l’assistenza. Contatto per la terza volta l’assistenza e spiego tutto alla terza gentile operatrice telefonica. “Mi spiace molto” mi dice lei “ma Le hanno dato informazioni completamente sbagliate. Quanto un pacco è manomesso noi non lo recapitiamo: deve venire Lei nel nostro centro di raccolta e se lo vuole lo ritira lì”. “Ah” dico io “grazie. Sarebbe stato bello saperlo due giorni fa”.

Do una rapida occhiata a google maps per vedere dov’è il centro di raccolta SDA della mia città. Ovviamente è in periferia, ma la mia città è piccola e con l’autobus ci si arriva in 15 minuti. Sulla scheda di google maps ci sono anche gli orari del centro raccolta SDA: venerdì fino alle 19:00; sabato chiuso. Sono passate da poco le 18:00 di venerdì. Decido di andare a vedere questo pacco manomesso e farla finita. Esco, prendo l’autobus e arrivo al centro SDA alle 18:39. Porta sbarrata con un catenaccio. Cartello che dice: orario di apertura, venerdì fino alle 18:30, sabato mattina aperto dalle 8:30. Ma porc… Dall’altra parte della porta a vetri sprangata con un catenaccio, c’è il banco con l’impiegato delle poste. Sarà a tre metri da me, non di più, e siamo uno di fronte all’altro: busso, chiamo, rimango lì per circa 10 minuti fissandolo con insistenza. Niente: è perfettamente addestrato a ignorarmi, e riesce a fare tutto senza sollevare MAI lo sguardo nella mia direzione. A un certo punto vedo che inizia a sistemare le ultime cose ed a mettersi il maglioncino per andare a casa. Potrei aspettarlo al varco per dirgli cosa ne penso dell’efficienza di SDA e della sua cortesia, ma non servirebbe a molto. Riprendo l’autobus e torno a casa.

La mattina dopo torno al centro di raccolta SDA. Finalmente vedo il pacco. La busta esterna è completamente squarciata, la confezione in cartone del prodotto che ho acquistato è distrutta. Tuttavia il prodotto sembra integro, come anche gli accessori e la documentazione. Chiedo all’addetto: “ma scusi, questo è successo mentre il pacco era nella vostra disponibilità?” “Sì” mi conferma lui. “E non vi crea problemi che mentre gestivate il pacco qualcuno ha squarciato la busta e rovistato dentro la scatola?”. “Se vuole può rifiutarlo e mandarlo indietro.”. No, non ce la farei mai ad avere un altro prodotto in tempo per il compleanno di mia figlia. E comunque francamente la mia voglia di avere a che fare con SDA è uscita molto fiaccata da questa esperienza. Accetto il pacco con riserva, sperando che il prodotto funzioni; troverò un altro involucro per il pacco regalo. Per fortuna a casa verifico che funziona tutto a dovere.

SDA non mi vedrà più per molto tempo.

 

Guardate questo (committente NZ Transport Agency, Nuova Zelanda):

poi guardate questo (committente Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, Italia):

poi ditemi un po’ voi…

Mannaggia mannaggia

22 ottobre 2013

Giusto per futura memoria.

Beppe Grillo, in un suo post del 22 ottobre 2013:

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Silvio Berlusconi, in un lancio AdnKronos del 27 giugno 2013 (ma sono abbastanza sicuro che l’abbia detto molte altre volte negli ultimi anni)

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Ma allora ditelo che non volete riconoscere i nunzi della salvezza!

Il “kebab arrotolato”, solo carne, insalata e pomodoro, è buonissimo accompagnato da un bicchierino di tè turco, caldo e dolce.

L’ayran invece (bevanda a base di yogurt, acqua e sale) non riesco a farmelo piacere.

Ieri pomeriggio, in centro:

Tizio per strada: Buon giorno, dottore.

Io (distrattamente): Buon giorno.

Tizio (vedendomi perplesso): Non si ricorda di me, vero?

Io [in effetti non ho idea di chi sia questo, ma mi dispiace farlo rimanere male, e quindi metto su la faccia più cordiale che mi viene e mento]: Sì, certo che mi ricordo (e cerco di tirare dritto)

Tizio (facendomisi appresso e tendendomi la mano): Ah, bene. Come sta? Come sta la famiglia?

Io [porca vacca, adesso sono incastrato] : Bene, bene, grazie.

Tizio (con espressione contrita): Purtroppo devo darle una brutta notizia. Papà è morto due settimane fa.

Io [ma chi è questo? E chi è suo papà?]: Mi dispiace.

Tizio: Eh, e a me va male, sa? Non ho più una casa. Mi lavo in un centro d’accoglienza e dormo in stazione. Ho parlato con l’assessore, che forse mi aiuta con un alloggio popolare, ma dovrò aspettare ancora delle settimane.

Io [aspetta, aspetta, adesso vedo dove stiamo andando a finire]: Mi dispiace. Bisogna farsi forza.

Tizio: Non è che mi potrebbe dare qualcosa per aiutarmi?

Io [ecco che ci siamo]: Mi spiace, ma in questo momento ho il portafoglio vuoto (e mi preparo a insistenze, richieste di aiuti successivi ecc.)

Tizio dismette immediatamente l’espressione contrita e se ne va senza salutare, alla ricerca di altri “dottori” da fermare.